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66 | vade retro, satana |
— Sessanta per lo meno.
— No, venti.
— Eccone venti sole, — e Menico diceva una bugia. Ne aveva lasciate sessanta.
— Ora va, Menico; è vicina la notte; pare che voglia far temporale; dammi il fardello e torna al villaggio.
Il vecchietto non voleva a nessun patto; intendeva scendere almeno sino a Cogo e passarvi la notte: il dì seguente il cielo avrebbe provvisto. Ma in realtà Menico, già stracco motto, camminava zoppicando e inciampando in tutti i sassi della via, sicchè per forza si dovette fermare. Allora il prete, dando un bacio sulla fronte al vecchio che piangeva, gli disse addio. Nemmeno il cane da caccia, il quale aveva seguito il suo padrone saltellandogli intorno, voleva tornare indietro; e Don Giuseppe, mentre lo accarezzava, esaminò nella propria coscienza se gli fosse lecito d’ora in poi ricevere un qualche conforto dal gaio affetto della bestia fedele, ma concluse dentro di sè vergognandosi del desiderio profano e mormorando: — Per me la terra non deve più avere nessuna consolazione. — Il cane, legato ad una funicella e tirato da Menico, si contentò di rifare con la coda fra le gambe il cammino alle calcagna del vecchio, il quale andava a passi di lumaca; e la bestia, inquieta, insospettita, mandava degli ululati lunghi, strazianti, che si diffondevano come voci di triste presagio nel silenzio delle montagne.