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vade retro, satana 61

e della madre defunti, ed uscì nell’andito, dicendo: — Sono pronto. Principiamo, se credono, dalla sagrestia. —

L’ecclesiastico così subito non voleva; facesse il comodo suo; v’era tempo; desiderava anzi mostrargli la propria costernazione; bramava che si sapesse come non avrebbe accettato senza il vincolo della santa ubbidienza. Don Giuseppe insistette, e si principiò la consegna oggetto per oggetto. La faccenda non avrebbe dovuto riuscire lunga, tanto la chiesa era povera e l’armadio della sagrestia piccolo; ma il nuovo curato voleva esaminare tutto appuntino, e con voce untuosa, con accento mellifluo notava: — O Dio, com’è sudicio! Santa Vergine Maria, com’è stracciato! Ne manca un pezzo! V’è una macchia d’olio! Che pitoccheria! Che indecenza! — Vi fu un istante in cui Don Giuseppe guardò nel viso il pretino soave, poi disse con la frase rotta e rapida dell’impazienza: — Reverendo, la parrocchia è tanto misera! Ho dato per la chiesa tutto quel poco che avevo, tutto fino all’ultimo centesimo: non ho saputo far meglio. Compatisca. — L’altro diventò ancora più zuccherino e ostinato. Nominava in latino gli oggetti e li esaminava uno ad uno meticolosamente: Purificatorium lineum.... è tutto sfilacciato! Mappa triplex ex lino vel cannabe confecta.... vi sono due buchi, anzi tre, anzi quattro! Calix et patena.... di ottone, e quante ammaccature! Missale cum puvillo.... non c’è