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46 vade retro, satana

rato; scriva a Trento, scriva all’imperatore; impedisca la distruzione del villaggio, per carità. —

Il prete s’era alzato e, ascoltando la donna, camminava su e giù per la stanza, in preda ad un’agitazione vivissima. Ripeteva: — Infami. — Poi disse ad alta voce: Parlerò al Capocomune, m’intenderò con lui, e qualcosa, se Dio ci aiuta, riusciremo a fare.

— Il Capocomune! Un bel soccorso! — ripigliò la donna. — È lui che ha fatto impazzir la gente; è lui che suggerisce a tutti di barattare il bestiame, il quale dà tanti pensieri, come dice, e così poco profitto, con quei fogli di carta che fruttano del bell’oro solo a guardarli. L’ho sentito io con le mie orecchie, signor curato. Povero il nostro armento! E poi (la ho da dire?) a quelli che rispondevano che Don Giuseppe non crede a così fatti miracoli, il Capocomune replicava: “Ah sì! Quel... (la taccio per rispetto) quel... lo caccieremo via, e presto. È ora di finirla con quel... Non vede più là del naso e pretende d’insegnare alla gente.„ Poi, sottovoce, aggiungeva: “Sappiate che durerà poco, una settimana al più; lo so io, e basta.„ —

Il prete continuava a camminare, invaso dall’ira: — Ebbene, andrò domani dal capitano a Malè, chiamerò il signor giudice, farò processare tutta questa canaglia. — Ma Menico, dalla soglia della camera, diceva: — Signor curato, sono quasi le dieci: venga a