quella poca voglia di mangiare che aveva dianzi.
“Signor curato, ella non ignora come fu il caso delle mie nozze. Amilcare è il mio solo cugino; era, si può dire, il solo giovinotto che, ne’ mesi d’autunno, frequentasse la nostra casa; e poi buono, bello, di bei modi cortesi, e con una vivacità di parlare tutta sua; studiava molto; a Vienna si faceva onore; era diventato dottore, e poi medico condotto in questa valle. In somma, quanti sogni io andava mulinando nel mio cervello! Stava desta la notte per poter continuare le belle fantasie, parendomi che la intera giornata non bastasse a tante care e interminabili meditazioni. Mio padre si mostrava poco contento; gli piaceva poco ch’io dovessi sposare un medico; diceva che i medici sono tutti materialisti, parola ch’io non capiva bene, ma che non mi piaceva affatto; e mi dipingeva la vita di questa valle come una specie di sepoltura: otto mesi d’inverno, la neve alta sei piedi, tredici gradi di freddo, impossibile a una donna l’uscir di casa, le ansie per il marito, un mondo di guai. Ed io pensavo all’opposto dentro di me; l’inverno sarà il mio paradiso; due stanzette ben calde, fiori accanto alle stufe, i miei ricami, la mia cucinetta, qualche lettera alla mamma, e poi, anzi prima di tutto, sopra tutto, il mio Amilcare sempre indulgente, sempre grazioso, sempre allegro, e che lunghi discorsi, e come sarà