care), mettendoci, confesso, un poco d’ambizione. Del resto dicevano che la mia salute era delicata. Ella, signor curato, mi guarda qualche volta in faccia con un cert’occhio compassionevole, come se dicesse: poveraccia, è tanto magra, tanto pallida! Amilcare mi ha, come dice lui, ascoltata più volte: non ha trovato, dice lui, neanche l’ombra del male. Fatto sta che io non sono mai obbligata a rimanere a letto, e che posso dichiararmi sul serio una grande camminatrice, una vera alpinista. Anzi, a questo proposito, vorrei ch’ella persuadesse Amilcare a farmi camminare meno. Quand’egli va nelle montagne alla visita de’ suoi malati, vuole, quasi ogni volta, ch’io lo accompagni; ieri mi condusse con quel sole, verso le due, sino a Masine dalle scorciatoie dei viottoli; un’ora e mezzo di salita, e che salita, e che sassi! Giunta nel paese, mi cacciai a sedere in un angolo della chiesa, una chiesa umida e melanconica, dove mi toccò attendere due orette buone che Amilcare avesse finito di dar ricette e di cavar sangue, e intanto mi sentiva tutta intirizzita da un’aria fredda gelata. Non ho coraggio di dir di no. Amilcare osserva giustamente che il camminare desta l’appetito, e che io, avendo bisogno di rinvigorirmi, devo mangiare, carne sopra tutto, e bere almeno un bicchiere di vino; ma il vino proprio mi ripugna, non lo dico per affettazione, e la stanchezza mi toglie anche