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— E paga le bellezze del tenente?

— Gli dà del danaro, e molto.

— Povera sciocca!

— Remigio la chiama la sua Messalina. Non me ne ha detto il casato, ma mi ha confidato ch’è di Trento e che ha nome Livia. C’è nessuno qui che sia pratico di Trento? —

L’ufficialetto smilzo disse:

— M’informerò io e vi riferirò ogni cosa domani a sera, se saremo a Verona. Contessa Silvia, non è vero?

— Contessa Livia, Livia, ricordatelo bene — gridò l’ufficiale sdraiato.

Costanza riprese:

— Ma Remigio è malato per davvero?

— Oh per questo poi sì. Capisci bene che non la si dà a bere a quattro medici: uno del reggimento di Remigio, un altro scelto dal generale in un altro reggimento e due dell’ospedale militare. Ogni tre giorni vanno a visitarlo; palpano la gamba — e picchiano e tirano e lo fanno strillare. Una volta svenne. Ora sta meglio.

— Finita la guerra, guarita la gamba — insistette la Costanza.

— Non lo dite neanche per ischerzo — osservò il secondo ufficiale sdraiato, il quale fino allora non aveva fatto sentir la sua voce. — Sai che per il solo sospetto di un inganno il tenente ed i medici verrebbero fucilati in ventiquatt’ore, l’uno come disertore dal campo di battaglia, gli altri come complici e manutengoli?