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26 | vade retro, satana |
del suo soggiorno in villa era stata alla canonica a portare delle elemosine; egli voleva fare qualcosa di più durevole, cento idee di carità gli frullavano nel cervello, ma per metterle in atto attendeva il consiglio del savio e sant’uomo, che lo guidasse, che gl’insegnasse a fare il bene utilmente.
Quei modi cortesi, quel sorriso aperto, sopra tutto quelle liberali profferte, mettevano il povero prete in un terribile impaccio. Già rinasceva nella sua mente la solita tenzone: posso io respingere il danaro del diavolo? Posso io togliere a’ poverelli i soccorsi di cui hanno tanto bisogno? Non devo io anzi sollecitare codeste larghezze, qualunque sia la lor causa, lasciando a Dio di entrare nell’anima dei peccatori?
Il barone continuava a discorrere in piedi, davanti alla finestra, da cui si scorgeva tutta intiera la valle e si vedeva in fondo ad essa il torrente, sinuoso e lucido, come un nastro d’argento puro, svolazzante al sole. Intanto gli ospiti del barone chiacchieravano intorno ad una tavola rotonda piena di libri e giornali, nell’angolo opposto della sala. A un tratto il maestro di pianoforte della baronessa, un giovinetto piccolo, con gli occhiali sul naso a ballotta, allievo poco fortunato del Conservatorio di Dresda, tolta la fascia ad uno dei giornali illustrati, guardando la prima pagina, esclama: — Oh bello, magnifico stupendo davvero! — Poi, fatta vedere l’incisione agli