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276 senso

Cercai nello scrigno i napoleoni d’oro, che avevo messi in un mucchietto, e, senza contarli, glieli diedi. Mi baciò e, frettolosamente, fece per uscire. Lo trattenni. Con un atto d’impazienza mi respinse, dicendo:

— Se ti preme la mia vita, lasciami andare.

— Fa piano, non senti che gli stivali scricchiolano? E poi, aspetta. Voglio vedere se c’è la cameriera; bisogna ch’ella venga ad accompagnarti. —

La cameriera, infatti, attendeva in una stanza vicina.

— Mi scriverai subito?

— Sì.

— Ogni due giorni? —

Volevo dare un ultimo bacio all’amante mio, che amavo tanto: era già sparito.

Aperte le invetriate, guardai nella via. Il sole indorava le alte cime dei monti. Innanzi al portone stavano discorrendo fra loro il mozzo di stalla ed il guattero. Alzarono gli occhi e mi videro; poi videro uscire dal palazzo Remigio, che camminava in fretta con le tasche dell’abito rigonfie.


Tornai a letto e piansi tutto il giorno: l’energia della mia natura era fiaccata. Il medico la mattina appresso trovò che bruciavo e che avevo una gran febbre; ordinò il chinino, che non presi: avrei voluto morire. Una settimana intiera dopo la visita di Remigio la cameriera mi portò con la sua