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il demonio muto 243

dia con affetto la buona notte, e la mattina mi vesto nella camera vuota, intristito dal silenzio fatale. La ragazza, che mi serve da pochi mesi, mi guarda con occhio indifferente, annoiato. Pensa forse che i vecchi stanno meglio nella bara. Ha ragione.

Ho un solo conforto, il Curato. È un santo uomo. Parliamo di religione, e la mia vecchia fede si ravviva. Ieri mi diceva: — Signor Carlo, si prepari alla felicità del Paradiso. Si stacchi dalle cose di questa terra. Pensi a Dio. —

Non ho rimorsi, eppure un certo stringimento di cuore mi dice forse che c’è una macchia nella mia vita. Quando sono seduto al fuoco nell’interno del gran camino della sala, e vedo sulla parete di contro il ritratto del Beato Antonio, smorto, severo, minaccioso, mi sembra ch’egli apra le labbra ed alzi la mano per rimproverarmi qualcosa. Che cosa? Non ho mai fatto male apposta a nessuno. Ho amato i miei genitori, i miei parenti, la mia Menica. Ho seguito la dottrina e i riti della Chiesa. E non ostante, gli occhi dipinti del ritratto di Don Antonio, che sono vivi, mi scrutano dentro nelle viscere, mi strappano fuori un non so che dall’anima. È uno scavo nella coscienza. Forse il mio Demonio muto.

Chi lo sa? Forse quell’oggetto di profano piacere, che io vagheggiavo, e che può avermi distolto spesso dalla contemplazione di Dio! Sì, quel maledetto strumento, rubato da un