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232 il demonio muto

tiero. Udivo de’ fruscii: vidi la coda di un lungo serpe nero guizzare in una buca. La vecchia andava a piccoli sbalzi, picchiando sempre con il suo bastoncino, e voltandosi indietro a guardarmi. Ad una svolta si fermò e si mise a sedere in terra. Sembrava una pallottola.

— Ero dunque giovane — disse — e bella. Avevo sposato Angelo il Moro, il sicario. Egli viaggiava per le sue faccende, e quando tornava, dopo tre o quattro mesi, mi portava tanto oro, ch’io duravo fatica a spenderlo tutto in vesti, in balli, in orgie. Angelo mi regalava i gioielli rapiti alle dame. Una volta mi portò una chitarra, una maraviglia, rubata a una duchessa di Milano. Io, che mi divertivo a suonare quello strumento, ne fui beata; ma l’amante mio, che amavo ancora più della chitarra, me la chiese, e gliela diedi. L’infame mi tradì poco dopo. —

Da quel fagotto schiacciato al suolo continuava a uscire una voce rauca: — Ero alta di corpo, snella; avevo gli occhi bruni ed i capelli biondi. Ballavo dal tramonto all’alba, nuotavo nel lago d’Idro, facevo all’amore. Una sera, sentendo che il Beato Antonio, di cui parlavano le valli e i monti, ma che io non avevo ancora veduto, ordinava di bruciare gli strumenti da musica e gli ornamenti delle donne, volli goder lo spettacolo. Alcuni de’ miei corteggiatori s’erano convertiti alla fede del Santo, altri non si attentarono ad accompa-