Pagina:Senso.djvu/228

226 il demonio muto

Nozza, avendo pigliato una scorciatoia, trovai sul viottolo rasente al Chiese due vipere, ed una ne uccisi coi tacchi de’ miei grossi stivali. A Vestone il povero Lampo ebbe un formidabile calcio da un ciuco, e continuò poi a guaire tutta la giornata. Ad Anfo c’era un’ostessa gobbetta e zoppa, la quale mi dava il vino bianco e le tinche fritte. Facevo centro a Bagolino, ma poi, partendo all’alba e spesso non tornando la sera, correvo lontano a cacciare i camosci sulle balze e le starne nei boschi.

La prima volta che salii solo alla cittaduzza alpestre, e avevo allora, che ero giovane, un’aria baldanzosa ed una gran barba nera, un vecchietto mi venne incontro e, togliendosi rispettosamente il cappello e sorridendo con malizia, mi fece segno di seguirlo. Dopo avermi condotto, senz’aprir bocca, un trecento passi all’in su e all’in giù per quelle viuzze sudicie e strette, il vecchietto si ferma e alzando il braccio mi mostra coll’indice una lapide antica infissa nella rovinosa muraglia di una casa. Vi leggo a stento questi bei versi:

Oggi non è il tempo
Nè la stagione
Di stare in questo loco
Chi non sta a ragione.