azzurro, da quell’angolo basso saliva saliva una nuvola bianca, illuminata dal sole. Prima sembrò una corona d’argento posta sul culmine del monte lontano; poi si espanse, invase una gran parte del cielo. Pigliò figura di un toro immane, che si avanzasse con la sua testa cornuta. Le corna venivano sino alla metà della vòlta celeste; una gamba poggiava sopra uno dei monti, l’altra sull’altro. Poi, in un minuto, il toro mutò apparenza: la testa da grossa che era si allungò, diventò il grugno di un porco, le corna si accorciarono in orecchie, le gambe si restrinsero a zampini, e la figura, che prima era maestosa, diventò grottesca. Poi la nuvola grande si sciolse in diverse nuvolette candide: qua e là de’ gruppi di punti argentei si raccoglievano come in tanti palloncini aereostatici, i quali vagavano un pezzo innanzi di ridursi al nulla. L’aria è restata d’un celeste purissimo, su cui le due montagne vicine tagliano scure, e l’ultimo monte appena stacca in quasi impercettibile sfumatura. Intanto il Chiese, ingrossato dalle ultime piogge, mugghia più iracondo che mai. Le case, brune, ancora bagnate, hanno de’ bizzarri scintillamenti, e gli alberi sono lustri. Giù nelle strade fangose le capre passano, accompagnate da fanciulli, che portano sul capo immense frasche fronzute di castagno o di quercia, sotto alle quali restano curvati e nascosti. Son piante che camminano; e quando diciotto o venti di quei