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il demonio muto 217

pensato fino allora al mio corpo: pensò in quel punto alla mia anima.

Mezz’ora dopo entrò il curato e, sottovoce, mi chiese s’io volessi confessarmi. Gli occhi della Menica m’imploravano. La camera era buia, silenziosa, sepolcrale. Mi confessai a spizzico, quasi senza fiato; ma non fu cosa lunga, poichè non credo in mia vita di avere mai desiderato male a nessuno. Toccai la mano alla mia buona infermiera, che mi ringraziò con effusione angelica e mi baciò sulla fronte.

Mi sentivo sollevato. Il prete stava sempre in piedi a sinistra del letto, duro duro, brontolando le sue preghiere. Negl’infermi le impressioni son rapide come il lampo. Guardai fisso il volto del prete, e nell’osservarlo provai dentro un irrefrenabile impeto di riso.

Bisogna che tu sappia come quel curato, uomo di mezza età, rubicondo, tarchiato, panciuto, ottimo di cuore, ma un po’ beone e mangiatore insaziabile, era il più gioviale matto di questa terra. Cantava certe canzonette da fare sbellicare dalle risa, faceva certi giuochi di prestigio con i bussolotti da maravigliare un mago, scriveva sonetti buffoneschi, imitava con la sola varietà dei fischi la predica del Vescovo biascicone e con la sola varietà delle inflessioni di voce tutte le lingue, compresa la turca; faceva dietro una tela bianca le ombre chinesi con le mani, figurando cigni, lepri, porci, elefanti, gatti e