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il demonio muto 211

le mani e la schiena, e certe lettiere spropositate a colonne ed a timpani, che paiono monumenti sepolcrali. Poi ho quegli otto grandissimi ritratti nelle loro massicce cornici d’un oro diventato nero: memoria dei nostri augusti antenati, che Dio li abbia in gloria: quei ritratti che, quando da bambino venivi qui a passare i mesi delle vacanze, ora ti facevano ridere ed ora ti mettevano paura.

La dama, ti ricordi? con il guardinfante verdone e con una piramide rossa per acconciatura, che pare una bottiglia sigillata; il cavaliero con il grande cappellaccio alla spagnuola, il tabarro bruno, la mano sull’elsa e l’occhio truce, e poi il Beato Antonio, il santo Missionario, il grande onore della Val Trompia, che ti faceva scappar via. È pallido come un fantasma, magro stecchito, con gli occhi infossati e un sorriso sulle labbra da far ghiacciare il sangue. In mano ha due cilicii spaventosi, l’uno a scudiscio pieno di terribili punte, l’altro a ruote dentate. Mi raccontava Giovanni (sai? devo avertene parlato, il servitore che in gioventù assisteva il Beato Antonio, quand’era infermo, e da vecchio aveva cura di me e mi conduceva alla scuola) Giovanni mi raccontava, ed io tremavo di spavento, che una mattina, essendo entrato all’improvviso nella nuda camera del Santo, vide in un angolo una camicia, che stava in piedi da sè sola e ch’era di color pavonazzo. Guarda, tocca: il sangue, di cui appariva in-