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gioni de’ fantasimi. Dalla stretta finestra di una cappella entrava un raggio di luna smorto.
Le litanie correvano più spedite e le voci sembravano crescere ed echeggiare, quando in un istante le donne si alzarono e il frate spense il cerino. Tutto entrò nella oscurità, eccetto dove la luna mandava sul pavimento della cappella la lista sottile di luce. Alcune ombre ci passarono innanzi senza vederci. Rimanemmo soli in quel triste silenzio. La chiesetta era diventata d’una vastità smisurata. Matilde s’avvinghiò al mio corpo, ed io sentii sulla mia guancia un morso divino.
— Mi amerai sempre? — chiesi a Matilde con un soffio di voce.
— Finch’io vivrò, sempre sempre.
— Me lo giuri?
— Sì, te lo giuro. Su tutto ciò che ho di più sacro, in questo luogo, sulla tua vita stessa, te lo giuro. E tu m’amerai sempre?
— Oh sì, sempre, lo sai. — Poi soggiunsi, esitando un poco: — Giurami che non hai amato altri che me.
— Non ho bisogno di giurartelo, caro.
— Giuramelo, te ne supplico.
— Conosci tutta la mia vita, cattivo: tutta, meglio di me, perchè io te la ho svelata intiera, e tu ci ripensi, mentre oramai io me la sono scordata. La mia memoria non mi serve che per te solo.
— Ti scongiuro, giuramelo — replicai con un fremito.