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194 | meno di un giorno |
della macchina lontana, e cresceva, cresceva, finchè comparve la locomotiva fumante, che io vedevo con ansia ingigantirsi via via, pigra alla mia impazienza, mentre udivo la nota del fischio sempre più acuta e stridente. Il convoglio allentò la corsa. Prima che si fermasse avevo ricercato ad una ad una con rapidissimo sguardo le finestrelle dei vagoni. Niente. Il cuore mi batteva impetuoso; un dubbio acre mi nasceva nel petto, e mormoravo: — Se avesse avuto paura, se non m’amasse abbastanza per affrontare tanti pericoli! —
Il conduttore aprì finalmente gli sportelli, gridando: — Treviglio. — Da una carrozza di prima classe sbalzò a terra snella, sicura, una donna, coperta il volto da un fittissimo velo nero. Un istante dopo, la sua mano serrava forte la mia, e la sua voce soave diceva: — Quanto sono felice! — La trassi, senza parlare, beato, ad una timonella, che avevo fermata dianzi; la feci salire, me la misi accanto e gridai al cocchiere: — A Caravaggio.
— Al Santuario?
— No, all’albergo del Pellegrino.
Guardai la mia compagna lungamente. Ella, appena la carrozzetta fu posta in moto, sollevò il velo per sorridermi.
— Come sei bella! — le dissi.
— Ti sembro bella davvero? Ho voluto essere bella per te, per queste nostre quindici ore di paradiso.