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meno di un giorno | 193 |
pelli castani spiccava piccolo, fine, elegantissimo l’orecchio. Ella sapeva di averlo bello: non portava orecchini. Il fronte era bassetto, e la distanza tra il naso e la bocca lunghetta; le narici si alzavano in su un tantino, dando alla regolarità perfetta del naso una cert’aria procace: ma gli occhi cerulei e la bocca sottile e il mento piccolo mischiavano in quel caro volto una gentile melanconia all’apparenza sensuale delle altre parti. Gli occhi, gli occhi erano tremendi! Sembravano cerulei, ma in certi momenti diventavano come neri: erano grandi, e giravano lenti, e avevano alle volte uno sguardo, che pareva insieme fisso e vago, scrutatore e distratto. Dopo un lungo bacio io le stringevo le mani, e me le piantavo dinanzi fissandola nelle pupille: ella mi contemplava serena, senza batter palpebra. Mi sentivo allora invaso dall’ardore della passione e insieme da un misterioso senso di paura; il cuore mi si serrava, e le chiedevo: — Pensi a me, Matilde? —
Era un pezzo che non la vedevo sola, senza timori.
Ci avevamo scritto spesso delle lunghe lettere, ma la penna riesciva tarda, ghiacciata, impotente a esprimere il pensiero: avevo un terribile bisogno di dirle a voce tante cose e di farle tante domande.
Il treno era in ritardo di due minuti: già cominciavo ad agitarmi in un mar di spaventi, quando squillò la campanella della stazione. Si principiava a sentire il rombo