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quarantasette minuti. Lo sapevo bene, ma tornavo a leggere quei numeri con occhio intento, quasi che ad ogni poco m’uscissero dalla memoria. Guardavo l’oriuolo. Questa frase del Re Giovanni: Veglio su voi come il minuto su l’ora, mi passò nel cervello. L’idea dell’eternità, che non si afferra meditando alla lunga serie dei secoli, diventa chiara seguendo il cammino lento della lancetta dei minuti. Il polso batte disuguale, rapido; una irritazione convulsa invade tutte le membra; si sente l’attimo che, impassibile, crea l’infinito: e la caduta di questa stilla di tempo nel mare senza sponde pare meschina e immensa, ridicola e spaventosa come il picchiettare del tarlo nelle veglie di una lunga notte.

Aprivo spesso la cassa dell’orologio per contemplarne il fondo. Vi stava un bel ritratto di lei. Seguendo i delicati contorni del mento, della guancia, del fronte, dei capelli, avevo ritagliata tempo addietro quella fotografia con attentissima cura, per incollarla sopra un cerchio di cartoncino celeste, corrispondente appunto alla misura del tondo dell’orologio. Il ritratto dal suo sicuro nascondiglio ogni tanto mi sorrideva; e avevo mezzo guastata la molla della custodia. La testa occupava quasi tutto lo spazio, sicchè il candido collo scoperto, scendendo giù sino al lembo, non lasciava posto neanche al principio del goletto dell’abito. Sul volume dei ca-