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184 quattr’ore al lido

d’oro. Ella era la regina del terrazzo: una regina dolce, sicura di sè, com’è sicura l’innocenza, e disinvolta, com’è disinvolto il pudore. Codesta madre pareva il simbolo della verginità: credetti in quel momento al mistero della Immacolata Concezione. Ma la soave creatura principesca stava in compagnia di un signore, che sembrava vecchio se si badava a’ suoi capelli grigi e alla sua barba mezza bianca, ma che sembrava giovine se si guardava ai lineamenti e all’espressione del volto. Era il padre, era il marito? Questo problema mi torturò il cervello per una buona mezz’ora.


Più lontani, sparsi a gruppi di due, di tre, di quattro o solitarii, stavano degli altri forestieri e qualche raro veneziano, la più parte immobili, ascoltando la musica, guardando in giro, o discorrendo sotto voce senza gesticolare. Il mare tranquillo innamora e sgomenta. Quei flutti, che si frangono perennemente alla riva e mandano sempre l’identico suono; quell’aria quieta e fresca, che si aspira con lunga voluttà; quell’orizzonte sconfinato, che pare nello stesso tempo una linea retta infinita ed un cerchio infinito: tutto contribuisce a produrre l’impressione maestosa di un tempio enorme, in cui ci si toglie reverenti il cappello e ci si sprofonda nella propria coscienza. Non ho mai visto nessuno, per quanto fosse povero di fantasia, d’inge-