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168 santuario

studiare le orme. Cercavo quelle di due piedi piccoli, e mi parve di trovarle. La neve alta, non essendo gelata alla superficie, serbava le impronte. Scintillava come se fosse tutta cosparsa di brillantini; raddolciva gli avvallamenti del terreno, i precipizii, i burroni, ma li mascherava, e le tortuosità della viuzza erta, che, tagliata nel masso, conduceva su su alle cappelle, s’indovinava appena. Non solo aveva smesso di nevicare, ma il cielo, in gran parte sereno, con quel contrasto del bianco della terra, che abbagliava gli occhi, appariva d’un colore turchino splendido.

Camminavo seguendo le peste leggiere, le quali ora, per un buon tratto, si seguivano regolarmente, ora si smarrivano di qua o di là per rientrare poco dopo sulla linea torta della via, e nello stesso tempo guardavo in basso alla valle, alla pianura. Sulla pianura stava, immobile, una massa non interrotta, lunghissima di nubi dense, che si vedevano dall’alto al basso. Illuminate dal vivo sole parevano candide sul dorso, d’un candore argenteo, e coperte come di ondulazioni, di vette, di punte strane, che le facevano somigliare a catene di monti nevosi, e sembrava di potervi camminare sopra; ma di giù erano brune, tenebrose, fracide di folgori e di tempeste, e mettevano in un’ombra triste e nera i paeselli e i campi della vallata lontana. Sotto a quella coltre, a quella cappa plumbea doveva farci notte.