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santuario 163

sione, si volse al putto: — Bambino mio, anche tu mi dici di attendere. Domani, doman l’altro! Sei cattivo. La tua mamma t’adora, luce degli occhi miei, sangue del mio sangue, carino, diavolino mio; e tu mi stendi le manine care e ti rivolgi verso di me, ma non t’affretti a ricadere sul seno che t’ha nutrito. Non ingannarmi, monello. Dormivi in una cuna ornata di brillanti, e gli angioletti ti cantavano la ninna nanna, e le farfalle con le loro ali di tutti quanti i colori ti svolazzavano intorno; ma un dì sei scomparso, non t’ho trovato più, sparito sotto un monte di fiori, sotto un manto ricamato d’oro e d’argento, in mezzo ai ceri, ai bimbi, ai canti... Ora che sei tornato, perchè non mi balzi in grembo? Non l’ami più questo petto? — e si sbottonava dinanzi il vestito azzurro, e mostrava al figliuolo il seno ignudo, mentre la immagine dipinta del fanciullo continuava a sogguardarla e a ridere.

Un forte scoppiettìo del fuoco, che in quel silenzio da tomba sembrò un fracasso diabolico, le fece voltare il capo, e mi vide. Mi cacciai nel fondo della poltrona, cercando di farmi piccino, di schiacciarmi nella spalliera imbottita, tanto da sfuggire all’occhio tranquillo e tremendo.

Mi si avvicinò piano piano, senza curarsi di allacciare l’abito; mi porse le mani piccole e bianche, facendo segno che le dessi le mie: gliele diedi; allora ella, stringendomele, mi