Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
santuario | 161 |
fuoco s’andava spegnendo, e la candela mi lasciava quasi al buio. Buttai nel camino un fascio di legne grosse.
Ma ecco che il bisbiglio ed il fruscìo vanno crescendo, e in un angolo della camera s’apre un uscio a muro, ch’io non avevo visto, ed entra col lume in mano, parlando tra sè a frasi lente e brevi, la bella bionda.
Mi sentii pietrificare. La donna, che doveva essere ben pratica di quella stanza come dell’intiero ospizio, dove, tutto essendo affidato all’onestà e alla decenza, gli usci mancavano di serrature, andò dritta alla parete sulla quale stava appeso il quadro, e, posata innanzi ad esso, sopra un tavolino, la lampada con cui era venuta, si mise a guardarlo fissamente con quel suo occhio che trapassava gli oggetti. La tela rappresentava un santo giovane, di volto pallido, delicato, soave; aveva la barba alla nazarena, i capelli neri, lo sguardo tenero e le labbra socchiuse, come se pronunciasse flebilmente una parola d’affetto. Accanto, sopra un altare, in mezzo a festoni di allegri fiori, si vedeva il Bambino, tutto nudo, che, alzando i braccini e facendo atto di saltare, pareva volesse uscir di botto dalla cornice per gettarsi nelle braccia di chi lo stava guardando. Era roseo, era paffutello, era gaio, vispo, gentile, carezzevole: un amorino da mangiar di baci.
La bella bionda guardava ora il santo, ora il bambino. Al santo diceva: