Pagina:Senso.djvu/161


santuario 159

fiori. Nella camera reverendissima stonava la scatola di cerini, che Pasquale aveva lasciato, dove dall’una parte si vedeva un caporale, che fa la sua brava dichiarazione alla cuoca, e dall’altra una silfide molto scollacciata e sbracciata.

Mi sdraiai nel seggiolone, e m’occupai un pezzo a guardare le scintille del fuoco, che scoppiettava. Non volevo andare a letto prima che l’orologio segnasse le dodici. Nell’animo pieno di una vaga afflizione mi sentii nascere il desiderio acuto dei miei parenti, de’ miei amici, che avevo lasciato pochi giorni addietro, ma che avrei voluto vedere in quell’ora appunto, nella quale l’anno vecchio spirava e il novello vedeva la luce. Poi dicevo tra me: — Sono ubbie. Non ci ho pensato fino a questo momento, ed ora perchè ci penso? Che differenza c’è egli tra l’una e l’altra mezzanotte? Non sono forse tutti uguali i giorni dell’anno? — E non ostante provavo dentro un certo stringimento: mi pareva di essere rimasto a un tratto solo in questo mondo, e sentivo un vuoto nuovo nella mia vita, un nuovo e lacerante distacco dagli affetti mortali. Pensavo ad altre prime notti dell’anno: alle speranze, che si spingevano audaci nei campi allettatori dell’avvenire, ai rinnovamenti del cuore umano, che, pure invecchiando, crede di ringiovanirsi; e fra tutte quelle notti, ce n’era una, una, che mi tornava con tenace insistenza nella memoria,