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138 il collare di budda

Alle sette di sera, senza sapere quel che si facesse, entrò nel chiassuolo delle Zotte. La porta era aperta, salì e sul pianerottolo si fermò un istante: gli pareva di sentirsi strozzare, non poteva più inghiottir la saliva, aveva il granchio alle mani, il cuore con i suoi gran colpi voleva spezzargli il petto. — Ci siamo — pensò — mi restano poche ore di vita. — Mise il piede sulla soglia della camera d’Irene.

Irene, sdraiata come al solito sull’ottomana, scherzava con un cane. Gioacchino si voltò per fuggire, ma Irene gli gridò:

— Vieni, vieni, guarda com’è grazioso. —

Poi, parlando al cane:

— Non mi morderai più, non è vero? —

Era il cane che Gioacchino cercava, sano, allegro, saltellante. Gioacchino, trasformato, cavò di tasca il collare e s’avvicinò alla bestia, la quale, sentendo l’odore della roba sua, sbalzò ai piedi del giovinotto, e ballandogli intorno abbaiava di gioia. Gioacchino affibbiò al cane il collare, poi con un ginocchio a terra, si pose ad accarezzare il suo pelo nero, vellutato, morbido; e il cane s’avvoltolava, e con la pancia all’aria dimenava le zampe. Irene rideva a crepapelle. A un tratto Gioacchino s’alzò dignitosamente, e cercando di dare alla sua fisonomia squallida, a’ suoi occhietti piccoli e spenti una espressione terribile, disse con la sua voce stridula:

— Signora, vi lascio al tenente di fanteria marina ed al suo battaglione; vi lascio al pa-