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136 il collare di budda

— Chi?

— Quello del collare. —

Gioacchino scattò, e gli passò sulla fronte un lampo di gioia. Il proprietario del collare era un bel giovinotto, alto e robusto, tenente di fanteria marina, il quale, dette le due lettere che l’avviso chiedeva e ringraziato il cassiere, dichiarò di voler pagare, non foss’altro, le spese delle pubblicazioni; ma Gioacchino non rispondeva. Guardava intorno, cercando il cane:

— E il cane dov’è?

— Il cane è scappato.

— Quando?

— Ier l’altro. —

Gioacchino si sentì gelare, e, come parlasse a sè medesimo, con un accento di strazio mortale, bisbigliò:

— Il giorno in cui ha morsicato Irene!

— Appunto. È un cane mansueto come un agnello; ma non bisogna tirargli le orecchie. Irene gliele tirò, ed egli dentro coi denti nelle polpe. Allora gliene diedi tante e tante, che scappò giù dalle scale, e non l’ho più veduto. Ma tornerà, ne son certo; mi capiterà tra i piedi o al caffè, o in qualche casa dove ho per costume di andare. Non è la prima volta che mi fa questi scherzi.

— Era sano?

— Come un pesce, ma con questi calori non si sa mai. —

Gioacchino, alzando gli occhi e guardando