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126 il collare di budda

— È stato il cane? — gridò Gioacchino con gli occhi fuori dalla testa.

— Sì, il cane. Non me ne rammentavo quasi più.

— E non hai fatto bruciare la piaga?

— Fossi matta! Perchè mi restasse il segno tutta la vita.

— E il cane dov’è?

— Lo so io! Non l’avevo mai visto. È scappato, e buon viaggio.

— Scappato subito?

— Subito, e tanto in furia che pareva arrabbiato.

— Arrabbiato, arrabbiato! — e si toccava la morsicatura della nuca, che da un minuto gli bruciava la carne come un tizzone ardente. Mise in tasca il collare e scappò, precipitando giù dalle scale, correndo nelle calli, sui ponti, lungo le fondamenta, dando degli spintoni a tutti quelli che incontrava, finchè giunse all’Ospedale maggiore, dove chiese del chirurgo di guardia. Voleva farsi medicare col ferro e col fuoco; ma il chirurgo disse che non si poteva tentare più nulla, giacchè la piaga era bell’e cicatrizzata. Del resto, saputo il caso, affermò dottrinariamente che la rabbia non si trasfonde da uomo ad uomo, eccitò Gioacchino a dormire quindi i suoi sonni tranquilli, e gli voltò le spalle.

Gioacchino pensava: — Menzogna, inganno pietoso. Voglio sapere la verità ad ogni costo — e nel correre verso casa, passando