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il collare di budda | 125 |
sera innanzi, dicendole che ancora la nuca gli pizzicava forte.
Aveva messo il capo sulle ginocchia di lei.
Immerso in una specie di sopore beato, guardava, senza pensare, alla polvere densa, che da più mesi non era stata disturbata sotto ai pochi mobili sconquassati, alle sporcizie del pavimento, delle quali si sarebbe scandalezzata persino la degna sposa di Zaccaria, ed alle tendine delle finestre rabescate di lordura. Dal canale quasi asciutto saliva un fetore acre. Qualcosa di bianchiccio, di lustro, dietro ad una delle gambette storte dell’armadio, fermò lo sguardo di Gioacchino.
— Guarda, che cosa c’è lì sotto? — chiese ad Irene, e senz’aspettar la risposta andò a pigliare l’oggetto. Era un collare col suo fermaglio e le tre lettere F. A. Q.
La faccia di Gioacchino diventò livida.
— Un cane, c’è stato un cane in questa casa. Rispondi. —
Irene rideva, mostrando i denti.
— C’è stato un cane e ha perduto il collare? Quando?
— Ieri mattina.
— Ieri?
— Sì, ieri; — e la donna ci pensò un attimo, poi soggiunse: — Entrò dall’uscio della scala, che la mamma con questi caldi tiene sempre aperto. Ma io non ho paura dei cani. Anzi guarda — e mostrò alla polpa della gamba destra due ferite vicine, lunghe, parallele, non ancora rimarginate.