Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
il collare di budda | 123 |
a brevi intervalli col fazzoletto la nuca, dove le gocce di sangue si rinnovavano ad ogni tratto; ma, poichè il sangue non voleva stagnare, entrò in una farmacia a farsi mettere sulla ferita un pezzetto di cerotto giallo. Di notte sentì un pizzicore, che lo tenne svegliato.
La sera seguente Gioacchino spasimava d’amore, benchè durante la giornata si fosse sentito in tutte le membra una spossatezza grandissima. All’ora consueta la vecchia lo aspettava sulla porta di strada. Quando Gioacchino la vide bisbigliò: — Ci siamo! — La vecchia infatti lo tirò nella cucina, dove due pentole, un candelotto, cinque o sei tondi e qualche posata arrugginita ornavano la credenza. Principiò le lamentazioni. Irene non ne sapeva nulla, poveretta! ma certi impegni urgentissimi, gli ultimi creditori impertinenti da far tacere; bastavano trenta lire; era tanto buono, tanto gentile; non l’avrebbe seccato mai più, lo giurava sulla immagine di Santa Brigida. Gioacchino teneva duro. Allora la vecchia, piantandosi le mani ai fianchi, smessa la studiata dolcezza del volto grinzoso e la mellifluità della voce fessa, continuò ringhiando. Irene dipendeva da lei; non c’è amore che tenga; gli avrebbe dato un calcio da quella parte, e poi chiusa la porta in faccia in saecula saeculorum, una bella faccia davvero! Se voleva continuare a veder la ragazza doveva contribuire anche lui alle spese di casa;