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116 | il collare di budda |
cavar soldi fece a un ebreo quel re d’Inghilterra, e all’ottavo non troverei una lira. È vero che non ne ho sette tra tutte due le mascelle; e d’altra parte lei, signor Gioacchino, n’ha tanti da prestarne a tutti, e denti e quattrini. In che cosa posso servirla?
— Veda questa roba. —
Il vecchio diede un’occhiata all’oggetto di metallo, e disse tosto: — È argento, argento massiccio e puro.
— Quanto potrebbe valere?
— Lo vuol vendere?
— No, glie l’ho detto.
— Allora pesiamo. Trenta lire, piuttosto meno che più. L’ha trovato, questo collare?
— Sì.
Pensavo bene io che non fosse il collare d’un suo cane. I cani — e guardava sardonicamente agli spropositati stivaloni del giovinotto — i cani le piacciono poco, mi pare, come alla buon’anima di suo zio. —
Mentre l’orefice e orologiaio, ridendo a squassi, borbottava queste ultime parole, passava un monello, che gridava con voce argentina: — L’Adriatico, l’Adriatico, col gran fatto accaduto.... —
Gioacchino disse un grazie rapido al vecchio, e corse dietro al monello per comperare il giornale, poi se lo portò su in camera, salendo a tre a tre gli scalini alti delle branche strettissime. Cercò alla fine della terza pagina, e trovò in carattere grosso l’avviso,