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106 macchia grigia

domi venti volte se stavo male. — Non è niente, — rispondevo, — l’aria fresca, la passeggiata e la colazione mi rimetteranno. — Non mangiai nulla. Guardavo come in sogno il largo portico adorno di ragnateli, le chioccie che venivano a beccheggiare i minuzzoli di polenta per portarli a’ pulcini, la chiesa della Madonna, la quale, alta com’è sul colle e posta lì proprio accanto, pareva piantata sopra i tetti dell’osteria.

Mentre io stavo immerso in queste visioni, entra uno dei figliuoli dell’ostessa, Pierino, bel ragazzotto di sette anni, saltando, e si mette a gridare: — Mamma, l’ho visto, sai?

— Chi?

— L’uomo che hanno trovato nel fiume stamattina.

— È bello?

— No, è tanto brutto. Domandalo alla Nina.

La Nina era entrata insieme col fratello, ma s’era tosto rincantucciata in un angolo del portico, con le mani giunte, mormorando qualcosa sotto voce. Si sentiva a intervalli la parola Requiem, flebile, soffocata.

— È giovine o vecchio? — ripigliò la madre.

La Nina non rispose. Rispose Pierino: — È vecchio, ha la barba bianca, lunga lunga. Ha gli occhi stralunati.

— Dov’è? Voglio vederlo — gridai scattando in piedi. L’ostessa mi sbirciò, e bisbigliando: — Dio, che gusti! — ordinò a Pierino di accompagnarmi.