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XVII

grand’uomo, e massimamente questo facevano i più illustri giovani della Grecia, i quali egli aveva cura, che tali cose da lui apprendessero, ed ascoltassero, da divenire veramente uomini atti a dare accrescimento alle loro case, ed a giovare alle patrie loro nella pace, e nella guerra. Quanto poi di ozio gli sopravvanzava tutto da esso impiegavasi nello scrivere quelle tanto maravigliose opere, che per lo spazio di presso a duemila e dugent’anni furono sempre tenute in sommo pregio dai saggi, e con chiarissima fama a noi trasmesse, pochissime essendo quelle che non abbia il tempo rispettate. E non racchiuse già in esse arcane, e scure dottrine a far mostra della sua alta e profonda sapienza, bastandogli, che questa gli potesse servire a saper disporre in cotal guisa gli animi di ogni qualità di persone, le quali attendere volessero a trapassare lor vita in lodevoli, e virtuose operazioni: e perchè questo suo proposito avesse a compiersi, con soavissimo stile, più dolce di qualunque mele, d’onde poi ne acquistò il nome di Ape Attica, e con appropriata eloquenza in un modo facile, e chiaro di quelle cose prese a scrivere, che più convenevoli gli parvero a quel fine cui egli intendeva. Perciò considerando di quanto frutto esser potesse la notizia delle cose operate a suoi tempi nella Grecia, si diede a seguitare la bellisima storia, che Tucidide aveva lasciàta imperfetta. E in questo pure meritò