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sono di vario parere, o Socrate, circa la seminagione, se sia cioè migliore quella fatta per tempo, o quella di mezzo, o piuttosto quella che si fa in ultimo. Ciò addiviene, dissi, perchè anche Dio non dà ordinatamente a ciascun anno la medesima temperatura, ma ora questa si è favorevole alla seminagione fatta per tempo, altre volte a quella di mezzo, o all‘ultima. Tu adunque, o Socrate, disse, come stimi che sia da farsi, o che si elegga una di queste seminagioni, sia che molto, o poco abbiasi a seminare, o che incominciando dalla più sollecita così si vada continuando finchè si giunga alla più tarda? Miglior cosa, risposi, mi sembra, o Iscomaco, il partecipare di tutte queste seminagioni, poichè giudico assai più utile l’avere in ogni anno una sufficiente quantità di grano, che alle volte ricoglierne molto, e alle volte mancare di quello ch’è necessario. Ed anche in questo, disse, ti accordi, o Socrate, a pensare quello medesimo, che io già ne pensava: e tu che impari sei stato il primo a dirlo a me, che ti sto ammaestrando. E che, diss‘io, il saper gittare nel campo la semenza come si conviene non è forse un’ arte, che ha in se molte difficoltà? Ora, disse, o Socrate, ci faremo a considerarlo, e in prima tu sai che la semenza si sparge colla mano. Ciò, dissi, lo so benissimo avendolo già veduto. Ma, seguì egli, altri poi sanno spargerla con eguaglianza, ed altri no.