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cura a quello, che tu vorrai, forse che questi sarà già atto a sopraintendere, o dovrà egli imparare alcun’altra cosa per divenire un buon castaldo? Si veramente che gli rimane ancora, disse Iscomaco, di conoscere, e quello che dovrà fare, e quando, e in qual modo: perchè senza di questo un castaldo a che ti sarebbe più utile di quel medico, il quale diligentissima cura avesse di alcun infermo, visitandolo la mattina per tempo, e la sera al tardi, quello però che fosse da farsi per ritornarlo sano, ignorasse? Ma quando poi, soggiunsi, abbia egli imparato anche questo, che ora tu dici, dovrà imparare alcun’altra cosa, o ti sembra che già sia esso un perfetto castaldo? Parmi, disse, che debba anche apprendere a saper soprastare a quelli che lavorano. E che, dissi, ammaestri tu i castaldi anche a saper sovrastare? Io mi vi provo: rispose Iscomaco. E come fai tu, dissi, ad insegnare il saper soprastare agli altri uomini? In maniera così al tutto grossolana, che tu udendola, diss’egli, o Socrate, forse te ne faresti beffe. Cotesta, dissi, non è ella opera da farsene beffe, o Iscomaco; poichè chi può ammaestrare gli uomini a soprastare, ben si vede chiaro che può anche insegnar loro il far da padroni, e chi sa renderli atti a fare da padroni, può ancora renderli tali, da fare quello che si spetta ai re: onde chiunque ciò sappia insegnare, non già di beffe, ma degnissimo anzi mi