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Socrate, disse, che del continuo vada a questo provvedendo: in quanto al difendermi, non offendendo niuno e giovando a molti il più che posso: in quanto all’accusare, conoscendo come molti facciano ingiuria al privato, molti al pubblico, e niuno poi faccia bene. Ma dimmi,o Iscomaco, diss’io, se ti avviene mai di averti a studiare di fare queste cose anche per via di discorso? Ma non cesso, o Socrate, di andarmi esercitando in così fatti parlari: mentre o udendo qualche mio servo accusare o difendere altri, io lo convinco ch’egli ha il torto, o riprendo, o lodo alcuno alla presenza degli amici, o mi adopero a riconciliare i congiunti parenti, mostrando che loro più giova l’essere amici, che nimici. Sovente poi standoci nell’esercito diamo biasimo ad alcuno dei capitani, o discolpiamo altri di quello, di cui ingiustamente viene accagionato, o accusiamo fra di noi chi viene onorato fuor di ragione. Anche quando consultiamo nel senato, ciò che ci piace che si faccia quello lodiamo, e ciò che non vorremmo che si facesse quello biasimiamo: e già sono stato anche più volte richiesto a comparire in giudizio per essere condannato ad alcuna pena, o multa. E da chi, dissi, o Iscomaco, poichè questo non ho io mai saputo? Dalla mia donna, rispose egli. E come, diss’io, ti sapevi tu difendere? Quando mi giovava di dire il vero, sapeva io difendermi assai bene; quando poi