Pagina:Seneca - Lettere, 1802.djvu/64

38

felicità. A quelli mancano i mezzi e gl’instrumenti di manifestar la lor malignità. Così anco sicuramente si maneggia un pestifero serpe, mentre egli è agghiacciato dal freddo: non è ch’egli sia privo di veleno, ma è di sorte abbattuto, che non ha forza. La crudeltà, l’ambizione, e la lussuria di molti non può al par de’ più tristi aver ardire, perchè non ha il favor della fortuna: ma se tu darai loro poter quanto vogliono, conoscerai apertamente che saranno di quel medesimo volere. Sovvienti, che dicendomi tu di poter disponere di non so chi, io ti risposi che quel tale era volubile e leggiero, e che tu non lo tenessi per li piedi, ma per le penne. Ma io mentei, perocchè era solo attaccato per la piuma, la quale, fuggendosi, ha rimessa. Tu sai quanto spasso egli poi t’abbia dato, e quante cose abbia tentato, che sarebbono poi cadute sopra di lui. Non vedeva che per por altri in pericoli, egli rovinava se stesso: non pensava di che peso fussero le cose, che dimandava, ancorchè non fussero soverchie. Dovemo dunque considerare che in quelle cose, le quali con ogni affetto cerchiamo, e con gran fatica contendiamo, o non vi è comodo alcuno, o l’incomodo avanza molto più. Molte cose son superflue, e molte non bastano. Ma non consideriamo tant’oltre, e pensiamo che ci sian date in grazia le cose, che ci costano carissimo. E di qui si può conoscere l’ignoranza nostra, che pensiamo che solo quelle cose si comprino, per le quali paghiamo danari: e dimandiamo dateci senza prezzo quelle, per le quali spen-