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se bene. Detesto il barbaro gusto che alcuni hanno di far man bassa, alterandole con gotico pensamento, sovra le altrui scritture; e crederei un sacrilegio il farla sovra quelle d’un classico Autore venerato da tutte l’età, quale si è Annibal Caro. Abbiasi pure egli qualche non più intesa voce: ciò che monta? Sarà per questo men classico? Perderà per questo il merito delle grazie, ond’è cosperso, il presente volgarizzamento? Alla fin de’ conti due sole, o tre sono coteste voci, e potrei indicarle, ma non voglio, appunto perchè son poche, e perchè usate da tant’uomo deggionsi rispettare.
Non negherò d’essermi fatto lecito, non senza domandar prima parere ad alcun mio dotto Amico, di riformare un tal poco l’ortografia dell’Autore, la quale spesso inesatta era, sempre ineguale, e di renderla uniforme e più moderna, affinchè l’opera fusse di più agevol lettura, lasciandole però qualche tinta d’antichità. Così osservo aver adoperato i Sigg. Volpi nelle replicate edizioni delle Lettere originali del Caro, eseguite con quella perfezione, che ognun sa, dal diligentissimo de’ Stampatori del secol nostro Giuseppe