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sfogo al mio sdegno. Nè certo, a farlo, miglior occasione cogliere io potea dell’odierna, in cui (per rispettato comandamento di due giovani Cavalieri, che nella celebrazione di lor Nozze rifiutaron l’omaggio di que’ versi stucchevoli, che non rifinan mai di esaltar la possanza d’Amore, già fino alla nausea magnificata, e di presagire Eroi d’ogni maniera, quasi nascessero come i funghi per le foreste del mio Maséro) debb’io pubblicare a benefizio comune degl’Italiani ingegni, del patrio idioma studiosi, alcune Lettere di Seneca volgarizzate dalla maestra penna del Commendatore Annibal Caro, le quali prima d’ora non vider la luce. Saprannomi, io spero, buon grado cotest’ingegni bennati del dono che viensi a far loro, e benediranno le mie fatiche nell’ammannirglielo, quando gustato avranno un volgarizzamento, che per la sua amena eleganza e per una cotal fedeltà non servile va al di sopra d’ogni altro, che lavorato siasi dell’originale medesimo, non eccettuato quello, che citano gli Accademici della Crusca, stampato in Firenze l’anno 1717. vago et elegante sì per le forme del dire, ma in istile ampio e largo, nel quale quel morale Filosofo per lo più