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esiste una filologia indiana? 361

traduzione in sanscrito, non è molto diverso da chi si pretenda colto e abbia bisogno di ricorrere alla traduzione a piè di pagina, di una sentenza latina incontrata leggendo.

Non minore importanza hanno le due letterature prâcrita e pâlica, per la lirica. Nella quale, per comodo di esposizione, distingueremo le due forme più notevoli nell’India: la religiosa e l’erotica. Quanto alla prima, il Canone buddistico ci fornisce dei veri capolavori: basti citare il Dhammapada1 e la Theragâthâ2. Quanto alla lirica erotica, prima di discorrerne di proposito, debbo accennare che, anche per questo genere letterario, come già per l’epopea, vi fu chi sostenne che la lirica sanscrita è stata foggiata su antichi prototipi prâcritici. Non è qui il luogo di discutere diffusamente una simile teoria; ma giova averla accennata, per mostrare come sia nella persuasione e nell’intuizione di ogni vero studioso, che nessuna questione riguardante la vita intellettuale dell’India può trattarsi a fondo con le sole fonti sanscrite. Comunque, nella questione particolare della lirica erotica, sta il fatto che uno dei testi lirici più antichi dell’India — le Centurie di Hâla — è scritto precisamente in prâcrito. Secondo il Weber, che primo la studiò la pubblicò e la tradusse,3 l’opera può rimontare al massimo al terzo secolo dell’Era nostra. La data può sembrare sulle prime relativamente recente; ma occorre considerare che le Centurie di Hâla non sono l’opera individuale di un unico autore, ma una vera e propria antologia idilliaca ed erotica, che ci conserva il fior fiore della produzione di tutta una pleiade di poeti, di cui le opere sono ora in massima parte perdute. Una delle sette recensioni in cui l’Antologia ci fu conservata, dà i nomi di centododici poeti, un’altra, di trecento ottantaquattro.4 L’incertezza dei dati è grande, come si vede; ma resta ad ogni modo indiscusso e

  1. Dhammapada pâlice edidit, latine vertit, excerptis ex commentario pâlico notisque illustravit V. Fausböll, Hauniae, 1855 — Una seconda edizione, senza commento, uscì a Londra nel 1900 — L’opera acquistò ben presto, per la pura grazia della esposizione e per la nobiltà della sua morale, una grande popolarità fra gli studiosi e le persone colte di Europa: fu tradotta molte volte in francese, in inglese e in tedesco. In italiano la rese P. E. Pavolini: Il Dhammapada, antologia di morale buddistica, Milano 1908 — in «Il Rinnovamento», Anno II, fasc. 5-6)
  2. Edita dall’Oldenberg, London, 1883 (Pâli Text Society).
  3. A. Weber, Das Saptaçatakam des Hâla, Leipzig, 1881.
  4. Cfr. R. Pischel, Grammatik. d. Prakrit-Spr., § 13.