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nell’India altre letterature antiche e rigogliose. L’India non è, come falsamente si è avvezzi a considerarla, un’unità nò geografica nè storica: ogni regione di essa ha la sua propria fisionomia, le sue tradizioni locali, le sue leggende, la sua storia. Il sanscrito fu ed e anche oggi1 — la lingua letteraria di tutto il paese, e servì di espressione alla civiltà che gli Arya vittoriosi avevano imposta; ma nelle singole regioni della grande penisola gaugetica crebbero e prosperano letterature parallele, che della prima subirono l’influenza e ne esercitarono a loro volta su di essa.

Col nome generico di prâcriti si indicano le lingue cosidette medioevali dell’India, che stanno al sanscrito a un dipresso come le lingue neo-latine stanno al latino2. Tra i pràcriti, si differenziò più profondamente, e assunse un aspetto individuo e autonomo, il pali, che per ciò si suole distinguere da essi. Ora, tanto il prâcrito — o, meglio, i prâcriti — quanto il pâli, ebbero uno svolgimento letterario tutto proprio e una produzione ragguardevolissima. Per dare un’idea dei rapporti di queste letterature con la sanscritica, mi si conceda di fare un’ipotesi bizzarra. Immaginiamo che il latino abbia conti-

  1. P. Deüssen, Erinnerungen an Indien, Kiel, 1904, pag. 2: «Nicht nur die Gelehrten von Fach, wie namentlich die einheimischen Professoren der indischen Universitäten, sprechen Sanskrit mit grosser Eleganz, nicht nur ihre Zuhören wissen dasselbe ebensogut zu handhaben wie bei uns ein Studierender der klassichen Philologie das Lateinische, auch die Privatgelehrten, Heiligen, Asketen, ja selbst weitere Kreise sprechen und schreiben Sanskrit mit Leichtigkeit; mit dem Maharaja von Benares habe ich mich wiederholt stundenlang dahin unterhalt; Fabrikanten, Industrielle, Kaufleute sprechen es zum Teil oder verstehen doch das Gesprochene; in jedem kleinen Dorfe war meine erste Frage nach einem, der Sanskrit spreche, worauf sich denn alsbald der eine oder der andere einstellte, der gewönlich mein Führer, ja nicht selten mein Freund wurde». — Cfr. anche J. Wackernagel, Altindische Grammatik, I. p. XLII.
  2. Naturalmente, bisogna intendere queste parole con molta discrezione, e accettare il paragone con ogni riserva. — Su le lingue pràcritiche in generale, vedi R. Pischel, Grammatik der Prakrit-Spraehen (Strassbtirg, 1900, in Grundriss d. Inclo-Arischen Philologie und Altertumskunde, I. 8), pagg. 1-32. Su i prâcriti in rapporto specialmente con le lingue moderne dell’India, vedi A. F. R. Hoernle, A comparative Grammar of the Gaudian Languages, (London, 1880), p. XVIII e seg.; J. Beames, A comparative Grammar of the modem Argon Languages of India (London, 1872-1879), I. cap. I passim (ma sopratutto 2, 4, 5, 6).