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DELL’ATTENZIONE



Parte I. — Contrasto affettivo e unità di coscienza.


Per quanto l’attenzione sia fra tutti i fenomeni psichici quello che può forse vantarsi della letteratura più copiosa, pure è ben lungi ancora dall’essere stato completamente «spiegato», cioè a dire rapportato e collegato in qualche modo a questi altri fenomeni psichici, in ispecie a quelli maggiormente suoi affini. Sebbene, anzi, come rileva giustamente il Titchener, l’attenzione costituisca il perno di tutta la psicologia, il problema dell’intima sua natura non potrebbe essere a tutt’oggi maggiormente lontano dalla sua soluzione; con quanto danno per tutta questa branca scientifica è facile quindi d’immaginare.

La colpa di questo stato arretrato delle cose rispetto alla attenzione è quella stessa che vale anche per gli altri fatti psichici. Cioè si è attaccato lo studio di tutti questi fenomeni in quello stadio in cui essi si presentano nella loro maggiore complessità, invece di rifarsi dalle loro forme più semplici. Così il problema dell’attenzione è stato attaccato per lo più per via d’introspezione e nell’atto di meditazione del filosofo, invece di rifarsi, p. es., dalla belva che guata bramosa la preda in attesa di potere balzarvi sopra o magari dal bambino che prima di mettersi in bocca una pastiglia bianca si arresta dubbioso se si tratta della pallina solita di zucchero o di un’amara pillola somministratagli il giorno prima.

Dall’utilità di cominciare l’investigazione dalle forme più semplici deriva quella di procedere per via filogenetica, risalendo quanto più si può il corso dell’evoluzione, affinchè il