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mine «diritto». Egli infatti qualifica così delle mere giustizie giuridiche. Chiamando anche noi, seguendo l’uso comune, queste in modo antonomastico col solo nome di «giustizie», occorre appena avvertire che fra diritto e giustizia corre notoriamente l’abisso che separa l’essere dal dover essere. Il diritto è la norma di condotta imposta da un gruppo sociale sovrano ai suoi membri, ed è quindi un fatto. La giustizia è invece il giudizio che una data norma dev’essere. Esso serve come misura della bontà o meno del diritto esistente e quindi della necessità del suo mantenimento o della sua abrogazione. Questo giudizio è la conclusione di un ragionamento fatto dall’individuo, movendo da certi dati e valutandoli in un certo modo. Avviene quindi che laddove v’ha criteri per dire se un diritto è o non è, manca invece ogni criterio del giusto. È possibile infatti dimostrare l’errore logico che alcuno commette traendo dai dati scelti e dalla valutazione datavi la conclusione a cui arriva. Ma in tal caso non si fa che sostituire una conclusione ad un’altra: si perviene ad una giustizia logica; non ad una giustizia giuridica. Ciò che non è possibile è stabilire obbiettivamente quali sono i dati da scegliere e sopra tutto la valutazione da dare a loro. Scelta e valutazione dipendono dalla disposizione psicologica individuale. La confusione terminologica fra giustizia e diritto è però così comune, che sarebbe pedante il farne una colpa al socialismo giuridico.

Neppure gli si può fare soverchia colpa di non avvertire l’inesistenza or ora rilevata di un criterio del giusto e quindi che quel suo costante operare con definizioni della giustizia per trarne corollarî così detti giuridici si riduce ad un artificio, mediante il quale non fa che dare una sembianza logica ad espressioni di sentimenti individuali. La giustizia è sempre parsa agli uomini un fatto obbiettivo, mentre non è che un fatto subbiettivo. È da dire però che il subbiettivismo è nelle asserzioni di giustizia fatte dal socialismo giuridico molto meno coperto che non sia consuetamente. Si sente troppo presto che il ragionamento resta chiuso nell’ambito del preconcetto.

Basta accennare, perchè ciò fu veduto da tempo, al carattere assoluto che il nostro socialismo dà alle giustizie che afferma e sono specialmente: il diritto al lavoro, al prodotto integrale del lavoro, alla vita, o a un certo tenore di vita e rinviare alle invincibili obbiezioni, familiari ad ogni cultore del