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ipotesi e realtà nelle scienze geometriche | 19 |
Uno degli argomenti addotti da Kant per proclamare l’apriorismo dello spazio, sta in ciò, che la geometria ha una certezza apodittica, in quanto si riferisce ad un’intuizione pura.
Nè da Euclide, nè dai suoi imitatori, Kant poteva trarre una convinzione diversa. Il procedimento dimostrativo consisteva allora in continui richiami all’intuizione, la quale perciò poteva sembrare a priori.1
Si aggiunga che il modo stesso con cui noi apprendiamo la matematica nella prima età, fidando quasi ciecamente sull’autorità del maestro, conferisce alle nozioni geometriche un tal sentimento di necessità, da cui difficilmente sappiamo spogliarci in età più matura, se non si riflette alla questione con una cultura matematica molto più larga. Nè va dimenticata la forza dell’atavismo, la persistenza incosciente di nozioni e di associazioni che si sono affermate attraverso alla vita secolare della razza!
Ciò che dalla geometria non euclidea è stato completamente rovinato, è l’argomento che Kant traeva dalla certezza apodittica della geometria di Euclide; ma non resta perciò escluso che nel concetto di spazio sieno effettivamente racchiuse alcune condizioni a priori all’infuori delle quali non sarebbe possibile l’esperienza mentale o materiale. Queste condizioni verrebbero perciò a costituire l’essenza comune alle varie geometrie, la quale non potrebbe essere infirmata da nessuna esperienza, perchè ogni esperienza fatta da noi, col nostro intelletto, così com’è organato, dovrebbe presupporla.
Eichiamo a questo proposito le seguenti parole di Russell (op. cit., p. 76): «Dal punto di vista della logica generale, le leggi del pensiero e le categorie, con le condizioni indispensabili per la loro applicabilità, saranno le sole a priori; ma dal punto di vista di una scienza speciale noi possiamo chiamare a priori tutto ciò che rende possibile l’esperienza che forma l’oggetto di questa scienza. In geometria, in particolare, noi possiamo chiamare a priori tutto ciò che rende possibile l’esperienza d’una esteriorità, come tale».
Questo modo di vedere corrisponde del resto a quello che Grassmann esponeva nel 1844 nell’introduzione alla sua celebre Ausdehnungslehre.