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ipotesi e realtà nelle scienze geometriche 5


E chi vorrà disconoscere i servigi resi in tante questioni di fisica-matematica e di elettrotecnica, dai numeri immaginari, che pure appariscono a prima vista così lontani dalla realtà?

Ma il diritto di vivere, e magari di moltiplicarsi delle teorie matematiche più astratte, deriva sopratutto da ciò, che la nostra scienza illanguidirebbe a grado a grado se si volesse costringerla nei limiti che, ai loro fini, potrebbero segnarle le scienze applicate. La vita piena e rigogliosa vuole la libertà!

Non bisogna pretendere di togliere ad una disciplina il valore estetico ch’essa acquista di fronte a chi la coltiva liberamente, senza alcun vincolo di fini pratici. La soddisfazione artistica vuol la sua parte, e se non si ammettesse la legittimità della formola «la scienza per la scienza» il fuoco sacro si spegnerebbe per mancanza di Vestali.

Quello che dai più è sentito nelle grandi manifestazioni dell’arte, è soltanto una parte infinitesima del sentimento che vi ha profuso l’artista. Ohi mai potrebbe perciò limitare i liberi voli del genio?

Il sistema — se proprio occorre convenirne — non è ottimo, nè conforme a quel principio di minimo sforzo a cui il Mach vede subordinato tutto lo sviluppo del pensiero scientifico; ma si può qui ripetere la frase arguta rivolta a Napoleone I dal mio concittadino Fossombroni: «Où il n’y a pas d’autre, Sire, c’est toujours le meilleur».

Ho parlato poc’anzi di teorie che hanno un interesse filosofico generale. Tra queste, ed in prima linea, debbono porsi le questioni che toccano i fondamenti della scienza.

E qui conviene che ponga innanzi qualche concetto, che mi sarà utile d’aver chiarito, prima di parlare di quella pangeometria che Schopenhauer giudicava la parodia e la caricatura del metodo di Euclide.1

  1. Schopenhauer, Le monde comme volonté et comune représentation, traduit par Burdeau (Paris, Alcan, 1890-93-94), t. II, p 265. Del resto anche Euclide può star contento, che ha la sua parte: «Il metodo d’Euclide non è infatti che una brillante assurdità» (t. I, p. 76).