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di questa. Altri, e talvolta quegli stessi, mitigando il rigore dell’affermazione, ammettono che la volontà legislativa possa o accelerare o rallentare la produzione degli effetti di quella o di quelle cause, pur ritenendo gli effetti stessi inevitabili, onde convien dire inevitabile anche il movimento legislativo in quel senso. Altri ritengono che il legislatore possa con la sua ragione contemperare le varie forze sociali in modo da dar loro indirizzi diversi da quelli che avrebbero, se fossero lasciate in balìa di sè stesse. Altri attribuiscono alla volontà legislativa una decisiva importanza nella formazione del diritto, pur riconnettendola alle altre forze sociali: anzi in questa efficacia della volontà alcuni vedono una delle essenziali caratteristiche, per cui il diritto differisce dalla morale o dall’economia o da altre norme del vivere sociale.

Io non voglio qui discutere i più ardui e fondamentali problemi della filosofia del diritto, che si riconnettono a tali questioni; ma mi contento di rivendicare soltanto un posto, se non molto grande, certamente notevole, all’arbitrio del legislatore nella formazione del diritto positivo.

La parola è pericolosa, ond’è giustificato il timore di esser frainteso già fin da principio. Convien dunque rifarci un po’ più da lontano, per non correre il rischio di sbagliare strada.

Quando la scuola storica proclamò essere il diritto il prodotto della coscienza del popolo, fece fare un gran passo alla scienza giuridica, e in generale alle scienze sociali, non solo perchè negò l’esistenza di un astratto diritto razionale, che si diceva naturale, ma che, distaccato com’era dalle sue cause, più propriamente si sarebbe dovuto dire soprannaturale; ma anche perchè, quantunque in modo troppo oscuro e indeterminato, pose la causa immediata del diritto in un fattore psichico, che, bene o male, chiamò coscienza. Ma questa coscienza non era essa stessa il prodotto di altre cause? Il difetto precipuo della teoria filosofica della scuola storica stava appunto nel fermarsi all’indistinta coscienza popolare, senza esaminarne più chiaramente e più profondamente la natura e le cause. Anzi l’espressione stessa di coscienza popolare era atta a nascondere la vera natura del fenomeno stesso, e produsse infatti qualche nocevole effetto sulla teoria delle fonti del diritto; perchè metteva in soverchio rilievo il fatto della coscienza, diminuendo quasi il valore della volontà, non deter-