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Tali, per sommi capi, le vie diverse con cui la religione riusciva a soddisfare il bisogno di coesione e organizzazione, che tanto più era sentito dalla società quanto maggiore era il numero dei suoi membri e più esteso il territorio da essi occupato. Ma dove un tal bisogno di consolidamento e unificazione si acuiva singolarmente e la funzione della religione assurgeva ad importanza addirittura di vita o di morte era nella guerra.

Nessuna attività sociale, infatti, più della guerra metteva in movimento l’organo religioso ed esercitava conseguentemente su di esso una maggiore azione trofica.

La lotta fratricida antica fra uomo e uomo, cui, come abbiamo visto, si deve il sorgere dei primi nuclei sociali, continuò anche fra questi non meno inesorabile di prima. E, come guerra, cioè come lotta di una collettività in massa contro un’altra, rese necessarie nell’organismo sociale la stessa coordinazione e simultaneità e rapidità d’azione dei vari suoi elementi, che l’organismo animale è atto a fornire nella lotta individuale. Si trattava, in altre parole, di rendere un’aggregazione, di per sè slegata, di individui compatta e agile come un animale da preda.

Se dannoso sarebbe stato in tempo di pace un qualche atto di insubordinazione, addirittura fatale poteva essere in guerra anche la sola lentezza nell’ubbidire. Più che mai necessario era quindi di garantire l’obbedienza più cieca e più pronta di tutti al proprio duce, di ridurre i singoli individui rispetto a quest’ultimo quasi diremmo nelle condizioni stesse in cui le cellule somatiche dell’organismo si trovano rispetto ai centri psichici superiori.

Ora, è appunto questa sottomissione supina che, sopra ogni altra cosa, la religione fu chiamata a garantire e che essa riuscì perfettamente ad ottenere. «Non si potrebbe mai ripetere abbastanza, scrive lo Spencer, che dai tempi più remoti fino ai nostri giorni, l’azione costante ed essenziale dei sacerdoti, in ogni tempo, in ogni luogo, in nome di qualunque credenza, è stata di inculcare l’obbedienza»1.

Così, p. es., il carattere sacro o divino del principe, che l’organo religioso tendeva in mille guise a rafforzare di continuo, rendeva per ciò solo sacrilego ogni benchè minimo

  1. Spencer, Principes de Sociologie, Paris, Alcan, 1887, t. IV, pag. 174.