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il fenomeno religioso | 105 |
seguente affrettata generalizzazione, l’uomo primitivo guarda a tutto quello che succede nel mondo fisico circostante, cioè che la produzione degli avvenimenti avvenga per atto di una o più volontà simili alla volontà umana. Assunto una volta che abbia la sua mentalità tale orientamento «animistico», allora molteplici e diverse, e fra loro perfettamente compatibili, potranno essere le origini — evemeriste, zoolatriche, feticiste, e via dicendo — delle varie credenze religiose.
Il fatto poi che bene spesso, anche nella realtà, se tangibili sono gli effetti di atti ostili di qualche volontà nemica, ignota per il colpito resta però quest’ultima, unitamente alla concezione del doppio che, d’accordo in questo con lo Spencer, si forma spontanea per opera dei sogni, della propria imagine riflessa e della propria ombra, e che permette eventualmente di sostituire all’inerzia provata ed innegabile di qualche oggetto sensibile l’azione invece del doppio invisibile di esso, spiega il perdurare del presupposto animistico, per quanto l’esperienza non ne fornisca mai la prova diretta.1
Ma ciò non basta, chè altrimenti bisognerebbe considerare come religiose anche le credenze del tutto consimili degli animali superiori, i quali, come lo prova la loro mimica stessa, attribuiscono parimente ad esseri ostili gli avvenimenti cosmici insoliti di carattere minaccioso che scuotono maggiormente la loro attenzione. È perciò qui che entra in giuoco e si fa valere una delle differenze intellettuali ed affettive più notevoli, in generale non abbastanza rilevata, che distingue l’uomo dagli animali, cioè a dire l’abito mentale ed emotivo dell’atto propiziatorio.
L’attitudine degli animali nella lotta universale della vita è solo quella della fuga o dell’attacco, ignoto è loro l’atto propiziatorio. La nuova attitudine intermedia non sorge che nella lotta dell’uomo contro l’uomo. All’uopo era prima necessario un notevole sviluppo delle più alte facoltà intellettuali, di osservazione, di inibizione e di ragionamento, affinchè l’esperienza potesse insegnare, ad un tempo, al vincitore, il vantaggio di risparmiare il vinto che faceva atto di sottomissione e, al vinto, tutto il valore che poteva valere per la sua salvezza l’atto propiziatorio stesso. Solo, quindi, presso quei progenitori dell’uomo, che pei primi praticarono l’atto pro-
- ↑ Cfr. G. Foucart, La mèthode comparative dans l’histoire des religions, Paris, Picard, 1909, pag. 108.