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234 rubra canicula—nuove considerazioni

un’origine fissa, e neppure seppero consacrare per uso dei posteri la successione degli anni per mezzo di liste di magistrati eponimi, ciò che ben seppero fare gli Assiri; come poter supporre che essi determinassero colle osservazioni cicli sì lunghi, dei quali non il minimo uso, anzi neppure la più lontana menzione appare dai monumenti? Riflettendo bene a questo, troveremo verisimile che quei lunghi cicli e specialmente l’anno sotiaco, siano combinazioni erudite e prive d’ogni significato pratico, inventate in tempi assai posteriori, quando gli Egiziani, illuminati dalla scienza dei Greci, finirono col persuadersi che l’anno sacro e canonico di 365 giorni esatti (l’unico che risulti dai monumenti anteriori all’epoca tolemaica) discordava di sei ore dal periodo del levare eliaco di Sirio e dell’inondazione e appresero l’uso, sin allora ad essi interamente sconosciuto, delle intercalazioni quadriennali, di cui Eudosso da Cnido sembra esser stato l’inventore. Tutto porta a credere che prima di quel tempo il loro anno, contato sempre (come attestano numerosi monumenti) dal levare eliaco di Sirio, e tuttavia costretto alla durata di 365 giorni interi, ricadesse in disordine manifesto entro pochi decenni; e di quando in quando fosse empiricamente ricondotto a posto coll’osservazione diretta della stella. Queste induzioni, che risultano dall’esame imparziale dei monumenti, tolgono ogni base alle infinite speculazioni degli eruditi sui periodi della Fenice e di Sothis1.



  1. Vedi su questo punto le sensatissime osservazioni di Maspero (Proceedings of the Soc. of Bibl. Arch., vol. XIII, pp. 305-307) alle quali completamente sottoscrivo. Una di queste epoche di confusione cronologica pare abbia avuto luogo al tempo di Seti II (circa 1250 anni av. Cristo); da un papiro della sua epoca (detto Papiro Anastasi IV), Maspero riferisce la seguente preghiera: «O Ammnone, vieni a liberarmi da quest’anno disgraziato, ove non arriva più il solstizio estivo, l’inverno accade quando aveva luogo l’estate, i mesi van fuori di posto e le ore s’imbrogliano (Ibid. p. 310)». Era dunque press’a poco lo stato del Calendario Romano prima della riforma di Giulio Cesare.