Pagina:Scherzi morali del prof. Francesco Rapisardi, Catania, Pastore, 1868.djvu/23

Oh! bella! veh! ma perchè mai ridete?
     Non vi par che sia giusto quel che dico?
     Non vi capisco!....Ma che cosa avete?
     Andiamo avanti, me ne curo un fico.
     Ho capito: è quel chiasso che si fa
     Quando s’intende dir la verità.
— Adagio un poco, direttor mio scaltro.
     Adagino, adagin, più lentamente.
     Non lasci alcun ritratto, ce n’è un’altro
     È il suo mi pare? E non vuol dirci niente? —
     Scusi, signor, che vuol, nessuno ha cuore
     Di recar a sè stesso alcun dolore.
Piace ad ognun svelar l’altrui difetto,
     E celare per ben gli errori suoi;
     Sicchè, se vi mostrai questo mio aspetto
     Al cominciar, vel ricordate voi?
     Non avea cor, le donne mie cortesi,
     Di render tante colpe a voi palesi.
Ve! sapete, che ognun da punir mai
     Gravi difetti in sè non ritrovò
     Io pel povero cor ne scorgo assai
     Ed all’orecchio un sol ve ne dirò.
     Quantunque, in vero, non è mia la colpa
     Donne, non voglio, oibó! cercar discolpa.
Dunque ve lo dirò: Quasi a sembrare
     Un’arca di dottrina e di saggezza,
     Nel ritratto ho voluto ammaestrare.
     Che cos’è questa, se non è stoltezza?
     Signori miei, lo so, ma il fatto è fatto,
     Non ci curiam vie più di quel ritratto.
Ma basta, che di me troppo parlai,
     E pur degli altri non vorrei più dire,
     Fermiamoci fin qui, chè tempo è ormai
     Lasciar la lingua per un po’ zittire.
     Rifrancatevi, ed io qui calmo aspetto
     Per ripigliare, un vostro gentil detto.