Pagina:Scherzi morali del prof. Francesco Rapisardi, Catania, Pastore, 1868.djvu/17

L’una ripiglia ed or l’altra gentile
     Movenza, ed a far ben tenta ogni via
     S’unqua lo speglio, precettor sottile,
     Maggior grazia gli chieda e leggiadria;
     Alfin così composto ed attillato
     Uccella, ed il bel sesso è impaniato.
Diletta Musa mia, togli quel velo,
     Chè restar più nascosto or non mi cale.
     Di rimbrottar quel bell’imbusto aneto,
     Che alla strada d’onor dato ha il suo vale
     Oh! spendi, incauto, spendi meglio l’ora
     A render bella la tua mente e il core.
Da voi, ragazze mie, gran che attendiamo,
     Se le grazie d’amor date ai più degni.
     Non un sorriso, non un dolce — t’amo —
     A chi dell’imitar quell’uom non sdegni,
     Ed allora vedremo a poco, a poco,
     Della virtude acceso il nobil foco.
D’una matrona l’è quest’altro aspetto.
     Ell’è scollata, seminudo ha il braccio,
     E molli posa sol due dita in petto
     Bianco qual neve... e che? Lo dico, o taccio?
     È bianco già, ma ben può darsi, in vero,
     Che d’un tizzone assai fosse più nero.
Parmi ch’ella dicesse: Eccole qui!
     Ma basta, e la mia frase perdonate,
     Ell’o scappata fuori, e sia così;
     Ah! deh! per carità non mi sgridate!
     Si vada innanzi.... sarò più pudico....
     E questo in verità col cor vel dico.
Ma che volete voi, cari signori,
     Una donna vecchiona o da dozzina,
     Che ardisce ancor cercare nuovi allori
     Nel cimento d’amor, caspiterina!
     Non volete che spinga un chi che sia
     A levar la sua voce con la mia?