Pagina:Scherzi morali del prof. Francesco Rapisardi, Catania, Pastore, 1868.djvu/14

Musa, se pur t’aggrada, or m’acconsenti
     Che quel labbro favelli al por del mio.
     Deh! gl’infondi la voce, e parlar tenti,
     Qualche scherzo d’udir nudro disio.
     Favella già......... A scortesia non usa
     Rendo le grazie a te diletta Musa.
“Qualche facezia, o qualche scioccheria,
     “A farvi allegri, raccontar vi voglio,
     “Ma perdonate la rozzezza mia,
     Che di ben favellare altrui non soglio.„
     Dì, o sferza pur senz’essere mordace,
     Il sozzo scherzo è quel, che non mi piace.
“In lauto pranzo un dì sedea d’allato
     “A lieta verginella un giovinetto,
     “Il qual con tutto ardire, a pieno fiato
     “Disse: Donna, per voi brucio d’affetto,
     “Conforțate il mio cor, ditemi — t’amo —
     “Che nulla più vi chieggo, e più non bramo.
“Or volete saper come rispose
     “All’ardito garzon, la vergin mia?
     “(Donnette, oh! non si fanno certe cose,
     “Che rimbrottarvi al caso ognun potria)
     “Per un gran schiaffo alzò la bella mano
     “A punire un signor così villano.
“Allor si fa più ardito il giovinetto,
     “E rende la guanciata a chi gli è allato
     “Con un sorriso, e senza alcun dispetto
     “Avverso il crudo e ineluttabil fato,
     “Dicendo: Avanti sempre a poco a poco,
     “La signorina ha cominciato il giuoco.
“Entrato in una chiesa un contadino
     “Ad udir la parola del Signore,
     “Mentre piangevan tutti, un suo vicino
     “Gli disse: Chè non piangi di dolore?
     “Ed egli a lui tutto modesto e pio:
     “Non son della parrocchia, signor mio.